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Pigneto Pigneto / Via Fanfulla da Lodi, 38

Via Fanfulla, tra b&b e locali la comunità senegalese resiste nelle tende: "Il quartiere è con noi"

Lo sgombero è stato effettuato martedì 19 febbraio dalla guardia di finanza

Quando la guardia di finanza si è presentata alla sua porta con tanto di blindati per apporre i sigilli alla casa del Pigneto dove vive da anni, per Faty è stata una doccia fredda. Erano circa le 9 di martedì 19 febbraio. “Nessuno ci aveva avvertito. Anche il motivo dello sgombero ci è stato spiegato quella mattina: quattro persone, nei mesi precedenti, erano state trovate all’interno con merce contraffatta. L’immobile doveva essere messo sotto sequestro”. In una manciata di ore i tre appartamenti di via Fanfulla da Lodi 38 che per 27 anni sono stati abitati da inquilini originari del Senegal, diventando un vero e proprio punto di riferimento sia per i connazionali sia per il quartiere, sono stati svuotati con la forza.

Le 15 persone residenti si sono ritrovate per strada “con qualche valigia riempita in fretta con le cose che non volevamo rischiare perdere”. Agli ultrasettantenni, il più anziano ha 81 anni, è stata trovata una sistemazione presso i centri messi a disposizione dalla Sala operativa sociale del Comune di Roma. Tutti gli altri dormono ancora lì, sistemati in due tende montate ai bordi della strada. “Restiamo qui perché vogliamo rientrare nella nostra casa. Le persone a cui è stato contestato quel reato sono quattro e non sono nemmeno residenti o intestatarie del contratto. Abbiamo sempre pagato l’affitto. Vogliamo continuare a farlo. Perché vogliono mandarci via tutti?”. 

Il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari riporta la data del 14 dicembre del 2018 ed è stato emesso sulla base di tre perquisizioni effettuate all’interno dell’immobile nei mesi precedenti. L’ultima risale al novembre dello scorso anno. Per il giudice i tre appartamenti di via Fanfulla Da Lodi 38 sono un “luogo sistematico di detenzione e custodia di marchi contraffatti”. Il sequestro è stato disposto in quanto tra il reato contestato e il luogo “ricorre un nesso affatto occasionale”. 

Nel decreto, però, vengono anche indicate le generalità delle quattro persone alle quali viene contestato il reato. “E nessuna di loro ha la residenza all’interno dello stabile” spiega il presidente di Progetto Diritti Mario Angelelli. “Per questo abbiamo intenzione di impugnare il decreto di sequestro al tribunale del riesame. Gli inquilini che ci hanno chiesto di essere difesi sono estranei all’indagine e non possono rimanere pregiudicati dal comportamento di terzi”. Ultima considerazione: “La merce contraffatta è stata trovata a novembre, mesi prima del giorno del sequestro. Come è possibile sostenere che sia un’attività sistematica?”.  

Per raccontare la storia dello sgombero della comunità senegalese di via Fanfulla da Lodi 38, però, non ci si può fermare qui. Il sequestro che lo ha innescato è solo una parte di una vicenda intrecciata da tempo con la storia del quartiere e dei suoi abitanti. Uno degli elementi per raccontarlo è contenuto proprio nelle quattro pagine del decreto. Secondo quanto riporta il giudice, l’immobile sarebbe “occupato abusivamente”. L’attuale società proprietaria, risulta sempre dalle carte, avrebbe anche dichiarato agli inquirenti di non aver “stipulato alcun contratto di locazione”, di aver avanzato “diverse cause civili” e formalizzato la richiesta di sfratto. 

Il passaggio di proprietà, secondo quanto risulta a Romatoday, è avvenuto nell’agosto del 2014. Eppure gli affittuari hanno continuato a versare fino al mese scorso quanto pattuito per la locazione. “La nostra casa era stata venduta e noi non ne sapevamo niente” denuncia Faty. “Abbiamo continuato a pagare l’affitto per tutto questo tempo. L’ultimo bollettino pagato risale al gennaio del 2019”. Nella cartelletta relativa al caso sulla scrivania dell’associazione Progetto Diritti ci sono tutte le ricevute che lo testimoniano. “Non ci potevamo credere. Non solo ci stavano buttando per la strada per un reato che non abbiamo commesso ma ci stavano anche dicendo che eravamo occupanti abusivi nonostante avessimo pagato l’affitto tutti i mesi. Mai un ritardo”. 

Ora non è solo questione di un tetto sulla testa. “Non voglio andare a vivere da solo. Non voglio arrivare a sera dopo una giornata di lavoro e sentirmi troppo stanco per spostarmi e per condividere una cena o dei momenti insieme alla mia comunità. Abito a Roma da 14 anni, 6 dei quali passati in questa casa. Non posso accettare che ci dividano. Questa è la mia famiglia”. 

Mentre Faty racconta la sua storia, molti residenti si fermano a chiacchierare. Juan abita proprio di fronte e sta rientrando a casa con i suoi due figli piccoli. Guarda le tende dall’altra parte della strada e non nasconde la sua preoccupazione. “Questo è il loro posto, hanno diritto a vivere qui. Fanno parte del quartiere, questa comunità è una risorsa per tutti noi”. Juan è originario dell’Argentina: “Anche noi avevamo i nostri punti di riferimento. È importante potersi sentire a casa anche lontano dal tuo paese”. Su un tavolo allestito davanti al cancello dello stabile sotto sequestro sono stati appoggiati alcuni contenitori con la cena, qualche succo di frutta, termos con bevande calde. Faty ride. “Troppa solidarietà, ci sono stati dei momenti in cui non siamo riusciti a mangiare tutto”. Nessuna sorpresa, però. “Siamo parte del quartiere, qui mi sento a casa”.  

Non è la prima volta che la comunità senegalese di via Fanfulla rischia di restare per strada. “Nel 2010, il Comune di Roma avviò la procedura di sgombero per motivi igienico-sanitari e di instabilità” ricorda Enzo De Martino del comitato di quartiere Pigneto-Prenestino. “Si mobilitò tutto il quartiere e sotto la guida di Dario Simonetti, un compagno dell'Osservatorio antirazzista e del Centro Sociale ex-Snia, iniziarono una serie di lavori nei tre appartamenti. In segno di solidarietà molte persone misero a disposizione la loro professionalità: vennero sistemati il tetto e i bagni, rifatti i pavimenti ed imbiancati i muri e contestualmente, tramite l’Associazione Progetti Diritti onlus, fu presentato un ricorso al Tar".

A gennaio 2011 il tribunale "si espresse per la sospensione dello sgombero, riconoscendo che i lavori svolti in autorecupero avevano risolto la situazione di degrado lasciata dalla proprietà e soddisfatto le richieste della Asl. Lo sgombero fu annullato definitivamente con la verifica da parte di periti terzi che sancirono 'la totale assenza delle condizioni per lo sgombero'". La comunità senegalese poteva restare al Pigneto. Non solo. "Grazie all’intermediazione dell’Osservatorio antirazzista e dell’associazione Progetto Diritti, alla luce dei lavori effettuati, gli affittuari riuscirono a ricontrattare l’affitto portandolo a 600 euro al mese, meno della metà di quanto avessero pagato fino ad allora".

A distanza di sette anni la comunità senegalese è stata messa di nuovo alla porta. E, questa volta, per strada ci è finita davvero. Via Fanfulla da Lodi con le sue case basse e quell’aria da borgata cresciuta senza un disegno mantiene un’apparente “granulosa grandiosità” che portò Pier Paolo Pasolini ad ambientarci ‘Accattone’. Sono passati più di 50 anni. Quasi trenta dall’arrivo dei senegalesi in queste casette, “negli anni ’90 qui non ci voleva venire nessuno” confida un residente. Sette dal rischio del primo sgombero. Oggi la comunità senegalese è costretta a resistere nelle tende. Negli anni molto è cambiato.

A poche decine di metri di distanza, dietro molte delle porte di queste case basse si nascondono dei b&b per turisti. Lo indica un’insegna poco appariscente ma uguale per tutte le abitazioni interessate. In alta stagione una stanza può costare fino a 60 euro al giorno. Via Fanfulla da Lodi in quel tratto è il corridoio di un albergo. Poco oltre, per le strade che si diramano dall’incrocio con lo storico bar Necci, è un susseguirsi di locali, ristorantini, gelaterie, enoteche e birrerie di recente apertura o ristrutturazione. Le loro luci illuminano le strade strette del Pigneto al calar della sera proprio come quelle degli studio/coworking che mostrano dietro le vetrate grandi tavoli da utilizzare in comune e schermi di Mac. Due anziane trascinano la spesa verso casa. Al calar della sera sono in molti a fermarsi a fare due chiacchiere con gli “amici della comunità senegalese”. Tanti mondi incastrati in un’unica strada. “Aspetteremo l’esito del ricorso nelle tende, qui in via Fanfulla da Lodi. Non ci sentiamo soli”. 

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